I Fantastici Quattro sono i nuovi Magnifici Sette
Lo S&P 500 è in rialzo del 36% rispetto ai minimi di settembre 2022 e il 60% della performance inaspettata è attribuita ai Magnifici Sette. I sette titoli: #Alphabet (+68%), #Amazon (+60%), #Apple (+50%), #Meta (+196%), #Microsoft (+77%), #Nvidia (+303%) e #Tesla (+70%) — sono cresciute complessivamente di quasi il 117%, superando di gran lunga la performance delle altre 493 società dell'indice S&P 500.
Negli anni passati ho scritto articoli sui magnifici sette trattando anche della poca diversificazione dell’indice americano visto il loro peso.
Da allora, il gruppo ha continuato a sovraperformare.
Fonte: FactSet
Negli ultimi mesi, il rally si è ampliato, con un numero crescente di aziende che partecipano alla ripresa. Oltre la metà delle aziende incluse nell’indice ha superato i propri valori dall’ultimo massimo dello S&P nel gennaio 2022.
Alcuni suggeriscono che ciò indichi che il rally potrebbe continuare ad espandersi, poiché i titoli precedentemente sottoperformanti iniziano a riprendersi, alimentati da una visione più positiva del futuro economico. Tuttavia, altri avvertono che potrebbe trattarsi solo di una ripresa temporanea che precede un declino, soprattutto perché la decelerazione economica in corso ha un impatto su queste società.
Lasciando le previsioni economiche agli economisti, continuo a concentrarmi sui fondamentali aziendali e sulle opportunità quantificabili.
L’intelligenza artificiale generativa come driver di performance
Con lo svolgersi del 2023, abbiamo visto prove sempre più evidenti che l’intelligenza artificiale generativa non è una montatura.
- L’intelligenza artificiale sta rapidamente guadagnando terreno: oltre il 70% delle organizzazioni ora utilizza servizi di intelligenza artificiale gestiti.
- Ancora agli inizi: il 32% delle organizzazioni sembra essere ancora nella fase di sperimentazione di questi strumenti, distribuendo meno di 10 istanze di servizi IA nei propri ambienti cloud.
- La fase di scalabilità rappresenta un'opportunità >5 volte maggiore: il 10% ha distribuito 50 o più istanze nei propri ambienti.
(Fonte: Wiz State of AI in the Cloud nel 2024, un campione di oltre 150.000 account cloud pubblici)
“Prevediamo che nel 2024, man mano che la capacità di elaborazione dell’intelligenza artificiale e i prodotti basati sull’intelligenza artificiale diventeranno più accessibili, l’opportunità dell’intelligenza artificiale generativa andrà oltre la fase sperimentale, consentendo alle organizzazioni di sfruttare le capacità basate sull’intelligenza artificiale per aumentare le entrate e la produttività.”
Fantastici Quattro
Riteniamo che quattro titoli dei Magnifici Sette continueranno a fornire un ROIC leader poiché investono ulteriormente nell’innovazione guidata dai clienti. Di seguito ho identificato i principali catalizzatori per ciascuna azienda per il 2024 e oltre. Le cifre percentuali rappresentano le nostre stime ROIC per il 2028.
ALPHABET (30%)
- Priorità all’intelligenza artificiale – Alphabet continua a ristrutturare la propria forza lavoro per dare priorità agli investimenti nell’intelligenza artificiale. Internamente, ciò migliora l’efficienza operativa. Esternamente, accelera lo sviluppo e la commercializzazione delle sue capacità di intelligenza artificiale, incluso il suo modello linguistico di grandi dimensioni Gemini, che dovrebbe superare l’attuale modello leader, GPT-4, di OpenAI.
- Dominanza della ricerca – Secondo Statcounter, al 31/12/2023 Google detiene il 91,6% della quota di ricerca, nonostante le preoccupazioni sull’erosione della quota dovuta all’intelligenza artificiale generativa. Google consoliderà la sua posizione dominante incorporando funzionalità di intelligenza artificiale nel 2024. Ad esempio, Google ha recentemente lanciato Circle to Search, che consente agli utenti Android di effettuare ricerche multiple utilizzando gesti come cerchiare una borsa all'interno di un'immagine e porre una domanda come "Dove posso comprarlo?" "
AMAZON (21%)
- Rete di distribuzione senza eguali: il passaggio di Amazon alla logistica regionale ha consentito all'azienda di consegnare più merci a velocità di consegna più elevate e a costi inferiori. Velocità di consegna più elevate aiutano Amazon a mantenere la sua posizione di mercato online di riferimento. I margini per il business della vendita al dettaglio continueranno a migliorare, soprattutto perché la capacità in eccesso viene utilizzata in modo efficiente per il Fulfillment-as-a-Service attraverso iniziative più recenti come Acquista con Prime e Supply Chain di Amazon.
- Iniziative strategiche – Amazon ha diverse iniziative di crescita che richiedono spese in conto capitale significative che pochi operatori possono eguagliare ma che possono produrre enormi vantaggi a lungo termine. Questi includono il settore dei generi alimentari e dei negozi internazionali, Amazon Pharmacy per i servizi sanitari e Project Kuiper per la banda larga satellitare.
META (27%)
- Capacità di elaborazione AI leader: Meta avrà una riserva di quasi 600.000 GPU entro la fine del 2024. Con la sua enorme capacità infrastrutturale, Meta sta cercando di costruire modelli di IA all'avanguardia che sostengano le sue piattaforme social e pubblicitarie.
- Leader del social commerce: le piattaforme dominanti di Meta combinate con risorse di dati uniche e algoritmi di intelligenza artificiale leader di mercato ottimizzano la personalizzazione e migliorano la conversione per creatori e marchi che investono sempre più nel social commerce, un mercato destinato a crescere del 30%+ ogni anno nei prossimi 5 anni. anni.
MICROSOFT (27%)
- Aumento della domanda aziendale – Microsoft è ben preparata per diffondere l’adozione dell’intelligenza artificiale nella sua produttività e nella base installata di software aziendale man mano che quest’anno verranno lanciati più casi d’uso, costruiti su solide basi con i modelli leader di mercato di OpenAI. A 30 dollari per licenza copilota, ogni ulteriore adozione dell'1% da parte della base clienti di Office aggiungerà 1,4 miliardi di dollari al fatturato.
- Guadagni di quote di Azure – Microsoft Azure è pronta a guadagnare quote nel mercato del cloud computing grazie al suo stack tecnologico leader di intelligenza artificiale generativa, alle solide relazioni aziendali e alla partnership con OpenAI. Questo nuovo cambiamento tecnologico rappresenta anche un’opportunità per Azure di acquisire quote di partecipazione tra sviluppatori e startup.
Guarda oltre i potenziali rischi
Per quanto riguarda i rischi potenziali, la preoccupazione principale è un rallentamento significativo dell’attività dei consumatori e delle imprese, che potrebbe innescare una recessione. Inoltre, i rischi geopolitici sono un fattore da considerare.
Mentre le incertezze creano rumore a breve termine, nel lungo è sempre più performante mantenere la rotta, investendo in società di alta qualità, con orizzonte di investimento a lungo termine e preservazione del capitale.
Lettera agli investitori di fine anno
Crescita, inflazione, tassi, debito pubblico: anche il 2024 si preannuncia un anno pieno di sfide. Tuttavia, la tanto temuta recessione non è arrivata nel 2023 e lo scenario base per il prossimo anno (e per il 2025) è quello di un rallentamento della crescita e dell’inflazione e di una moderazione dei tassi d’interesse.
Il 2023 è stato l’anno della recessione più telegrafata: a lungo temuta, non si è poi materializzata. Anzi, il 2023 sarà ricordato come un anno spettacolare per l’economia a stelle e strisce. Ma va sottolineato come lo storytelling sulla crescita sia molto cambiato da inizio anno. Nel giro di soli nove mesi, le view di Wall Street sono passate da una narrazione di recessione negli Stati Uniti a una narrazione di “soft landing”, cioé di un rallentamento del tasso di crescita dell’economia.
Come ogni anno aspettative e previsioni hanno vacillato subendo continui aggiustamenti e rimodellamenti. Tutto normale, se si considera il mercato un essere vivo e pieno di incognite nel breve termine.
Inflazione, debito e lavoro
Sono 3 i temi che hanno caratterizzato il 2023 e che hanno trainato i mercati facendo si che anche in Europa venisse scongiurata la recessione.
L’inflazione è soprattutto un rischio per l’Eurozona, maggiormente esposta alle pressioni inflazionistiche, lato energia e lato salari. A livello mondiale, l’inflazione core è in discesa dopo i livelli elevati degli ultimi due anni (tranne che in Giappone, dove – in controtendenza – sta salendo). In Cina è in rallentamento da due anni. Per il 2024 parecchi gestori prevedono un’inflazione in rallentamento sia negli Stati Uniti che nell’Eurozona.
Per l’Italia le previsioni prevedono una crescita piatta nel 2024 seguita da uno striminzito +0,5% nel 2025. Il nuovo scenario “higher for longer” significa che il costo del debito pubblico aumenta. “Il dato è deludente innanzitutto perché vorrebbe dire che l’Italia torna ad essere il fanalino di coda dei maggiori paesi dell’Eurozona e poi lo è ancor di più nel contesto dei grandi finanziamenti Next Generation EU”, commenta Tentori di AXA IM.
Inoltre, aggiunge l’economista di AXA IM, “questo rallentamento dell’inflazione e della crescita si sposa male con i rendimenti del BTp che restano alti, andando così ad appesantire ulteriormente il bilancio pubblico”. La crescita piatta e l’avanzo primario negativo sono dei rischi per il nostro.
L’aumento del debito pubblico è un problema anche per gli Stati Uniti: basta guardare la traiettoria (grafico sotto) in aumento del debito pubblico detenuto dalle famiglie americane e dalle banche.
Congressional Budget Office e AXA IM Research, giugno 2023.
Il mercato del lavoro negli Stati Uniti si è mostrato resiliente ed è stata la variabile che ha cambiato le carte in tavola perché ha sostenuto i consumi degli americani, contrariamente a ogni aspettativa. L’inflazione salariale è soprattutto un rischio in Eurozona, dove pure il mercato del lavoro ha mostrato resilienza, ma è molto diverso da quello statunitense.
Un 2024 all’insegna delle elezioni
A livello geopolitico, le elezioni per la presidenza degli Stati Uniti a novembre si profilano come l’evento globale più atteso e importante. Tuttavia, queste elezioni si inseriscono all’interno di un calendario politico che si preannuncia molto fitto. Infatti, nel mondo più di due miliardi di elettori verranno chiamati alle urne.
JPM ce ne fa uno spaccato grafico molto interessante:
Quali sono i possibili scenari quindi?
Riprendendo l’outlook di JPM andiamo incontro a 4 possibili situazioni:
Ma ATTENZIONE! Stiamo parlando di scenari e non di previsioni su cui basare i rimodulare i propri investimenti. Queste informazioni vengono utilizzate dagli investitori più evoluti SOLO per avere dei differenti punti di vista e su cui spesso mi confronto con i miei clienti perché come dico sempre a tutti “sapere aiuta a non sbagliare”.
Ma allora come investire per il 2024?
Visto il contesto, le opportunità per gli investitori non mancheranno, a cominciare dai mercati del reddito fisso. Ma vi saranno opportunità anche nell’azionario, perché una politica monetaria meno restrittiva dovrebbe migliorare le condizioni per la crescita del capitale, e soprattutto eliminare quella fonte d’incertezza che ha spesso innervosito gli investitori negli ultimi due anni.
La scelta migliore è sempre mantenere lo zoccolo duro della propria pianificazione se stai già investendo e magari sfruttando la situazione con la liquidità extra che devi sempre detenere. Se, invece, il tuo buon proposito per il 2024 è di iniziare ad INVESTIRE per il TU del domai in maniera efficiente ecco il punto di partenza dai mercati di oggi.
Considerati i tassi d’interesse a breve termine ai livelli massimi dal 2008, è facile concordare con l’idea che la liquidità appaia allettante. Se gli investitori possono ottenere il 4-5% senza rischiare di perdere il capitale, perché investire in azioni? E visto che le obbligazioni a lungo termine non offrono un rendimento addizionale, perché assumere un maggiore rischio di tasso d’interesse?
Le risposte giuste stanno sempre nelle due domande che devi sempre farti prima di investire:
- Perché sto investendo?
- Per quanto tempo lo vorrò fare?
Il tempo resta la variabile cardine per il successo dei tuoi investimenti. Infatti, in base agli anni che dovrai utilizzare il mercato per rendimenti extra, si deve costruire il giusto mix tra liquidità, bond ed azioni.
Oggi le obbligazioni ci riportano agli anni 2000 con rendimenti interessanti e per certo dopo il picco dei tassi sovraperformano la liquidità.
Maggiore è il tuo orizzonte temporale e superiori sono le opportunità dell’azionario
In conclusione, bisogna sempre sfruttare i vari motori di performance in maniera intelligente e scientifica poi mercato e pazienza faranno tutto il resto.
Grazie Charlie

"L'invidia è un peccato davvero stupido perché è l'unico con cui non potresti mai divertirti. C'è tanto dolore e niente divertimento. Perché vorresti salire su quel tram?"
"Se tutto ciò che riesci a fare nella vita è arricchirti comprando piccoli pezzi di carta, è una vita fallita. La vita è più che essere astuti nell'accumulazione di ricchezza."
"Ricorda che la reputazione e l'integrità sono i tuoi beni più preziosi e possono andare perduti in un batter d'occhio."
"Confucio disse che la vera conoscenza è conoscere il limite della propria ignoranza. Aristotele e Socrate dicevano la stessa cosa. È un'abilità che può essere insegnata o appresa? Probabilmente sì, se si ha una scommessa sufficiente sul risultato. Alcuni le persone sono straordinariamente brave a conoscere i limiti delle loro conoscenze, perché devono esserlo. Pensa a qualcuno che è stato un funambolo professionista per 20 anni ed è sopravvissuto. Non potrebbe sopravvivere come funambolo per 20 anni a meno che non sappia esattamente quello che sa e quello che non sa. Ha lavorato così duramente per questo, perché sa che se sbaglia non sopravviverà. I sopravvissuti lo sanno."
"Molto successo nella vita e negli affari deriva dal sapere cosa si vuole evitare: una morte prematura, un brutto matrimonio, ecc."
"Conoscere ciò che non sai è più utile che essere brillante."
Cosa è successo ad Ottobre sui mercati
Escluse poche eccezioni, i mercati azionari hanno vissuto un mese di ottobre negativo. A pesare più di tutto sono state le tensioni geopolitiche, con il conflitto scoppiato in Israele aggiuntosi a quello ormai ben noto in Ucraina.
L’incertezza e la paura di un’escalation delle operazioni militari hanno pesato sulle quotazioni di gas e petrolio, gettando un’ombra sulla tenuta del sentiero discendente dell’inflazione.
Infatti, se il caro dei prezzi dovesse rialzare la testa allora potrebbe essere la fine della tregua sui tassi delle banche centrali e questo, inevitabilmente, andrebbe a pesare sui principali listini mondiali.
I fatti salienti del mese di ottobre
- Il mese di ottobre si è aperto con gli attacchi terroristici di Hamas in Israele, un fatto senza precedenti almeno nella storia più recente che ha portato a un nuovo conflitto sullo scacchiere mondiale. Un possibile ampliamento del conflitto, infatti, potrebbe determinare nuove tensioni sulla filiera di gas e petrolio, andando ad alimentare un aumento dei prezzi delle materie prime nocivo per l’inflazione e quindi anche per tutte le economie mondiali.
- Nel frattempo, però, i dati sui rincari hanno preso una piega più rassicurante: nell’area euro, almeno, l’indice generale dell’inflazione è crollato a ottobre al 2,9% dal 4,3% del mese precedente. Il risultato è stato ancor più incoraggiante in Italia, con il dato precipitato all’1,9% e sotto la soglia del 2% considerata dalla Banca centrale europea come l’obiettivo da raggiungere della sua politica monetaria.
- Segnali non buoni, invece, sul fronte della crescita del Pil: in calo dello 0,1% nel terzo trimestre per l’Eurozona, mentre per l’Italia si registra un trimestre di stagnazione. Tutto questo mentre, qualche giorno prima, Francoforte aveva lasciato invariati i tassi d’interesse per la prima volta dopo dieci rialzi consecutivi.
- E in America? Qui la situazione vede un’economia molto forte, con un Pil che cresce anche più delle attese: +4,9% nel terzo trimestre, il livello più elevato dal 2021. Quanto all’inflazione, il dato è rimasto stabile al 3,7% a settembre, un livello ancora elevato che tuttavia non ha impedito alla Federal Reserve di non toccare il costo del denaro pur non escludendo nuovi rialzi futuri.
- Nel mese sono state inoltre pubblicate diverse trimestrali con dati positivi per big americani come Jp Morgan – nel settore finanziario – e Amazon (con ricavi in crescita del 13%) nel settore tecnologico. Anche McDonald’s ha battuto le attese grazie ai recenti rialzi dei prezzi.
- Intanto in Cina la crisi immobiliare continua a mordere. Country Garden, uno dei maggiori sviluppatori immobiliare del Paese, ha dichiarato il default sulle sue obbligazioni in dollari. Il timore, quindi, è che la situazione non sia per niente domata e il rischio di contagi è concreto. Tuttavia, nel terzo trimestre l’economia di Pechino è andata meglio delle attese, con un Pil cresciuto del 4,9% su base annua (gli analisti puntavano su un +4,4%).
- Infine, rivolgendo lo sguardo alle vicende locali, l’Italia ha varato lo schema generale della sua manovra di bilancio portando il deficit di bilancio al 4,3% rispetto al 3,7% precedentemente previsto, il che ha fruttato una dote di 15,7 miliardi per finanziare le principali misure che vanno dal taglio del cuneo fiscale all’accorpamento delle aliquote Irpef fino a un pacchetto per sostenere la natalità nel Paese.
- Essendo l’Italia altamente indebitata, il focus era sul giudizio delle agenzie di rating: S&P e Dbrs, due delle quattro più importanti al mondo, hanno mantenuto il loro giudizio sul debito tricolore a BBB con outlook stabile. Una buona notizia, in attesa di conoscere il responso di Fitch e Moody’s in calendario per il mese di novembre.
Conclusioni
Inevitabile che gli occhi saranno rivolti alle evoluzioni dei due grandi conflitti in atto: quello isrealo-palestinese da una parte e quello russo-ucraino dall’altra.
Ovviamente osservati speciali i dati sull’inflazione: si confermerà il dato positivo, per quanto riguarda l’Europa, anche nei mesi successivi? Da vedere poi cosa accadrà a Washington, con un carovita che sembra essere a livelli più bassi rispetto ai periodi peggiori ma comunque resiliente.
Infine, occhio in Italia alle revisioni del rating sul debito sovrano di Moody’s (17 novembre) e Fitch (il 10). In particolare, se la prima dovesse declassare l’Italia le farebbe perdere l’investment grade, facendola precipitare tra i debitori meno solvibili. E questo avrebbe ovviamente pesanti ripercussioni su tutta l’area euro e sui rendimenti dei bond sovrani di Roma.
Fame di tassi e vendita di debito
Un buon consulente finanziario negli ultimi 5/10 anni è quello che ti ha spiegato la situazione sul mondo obbligazionario invitandoti ad una maggiore consapevolezza ed evitandoti la più grande distruzione di capitali per i profili a minor rischio/età maggiore.
Nell’ultimo anno abbiamo assistito ad una escalation sui tassi mai successa a causa di una inflazione tornata a ruggire più forte che mai. Mutui alle stelle, costi quotidiani aumentati ma anche rendimenti dei titoli di stato sempre più allettanti.
Con l’arrivo dell’euro sono cambiate tante cose, ma negli ultimi due-tre anni stiamo assistendo a un’inversione di tendenza. L’inflazione, che tra il 2013 e il 2020 si era mantenuta entro il punto percentuale, tanto che ci stavamo quasi dimenticando della sua esistenza, ha rialzato la testa. I motivi ormai li conosciamo tutti. In Italia i prezzi al consumo sono saliti solo nel 2022 dell’11,6%. Una crescita che ha costretto le banche centrali dei principali Paesi sviluppati ad alzare ripetutamente e in modo ravvicinato i tassi di interesse per domare il carovita, come non eravamo più abituati a vedere da tempo.
Oggi il BTP a 10 anni vicino al 5% di rendimento
La storia insegna che i rialzi delle banche centrali trascinano anche i rendimenti dei titoli di Stato. E questa tornata di aumenti non ha fatto eccezione. Basta guardare a quanto è successo nell’Eurozona. Mentre la Banca Centrale Europea effettuava il decimo rialzo di fila portando i tassi al 4,5%, i rendimenti dei titoli di Stato e delle obbligazioni europee prendevano la rincorsa. L’effetto sul BTP italiano a 10 anni è stato fin troppo evidente, con il rendimento che si è avvicinato a grandi passi verso il 5%. Il grafico all’inizio dell’articolo rende l’idea meglio di qualsiasi giro di parole.
Tutto in BTP? Perché non è una buona idea
Cos’è cambiato dal punto di vista dell’investitore che cerca di mettere a frutto i propri risparmi? Il discorso è molto semplice, almeno a prima vista. Fino a un paio di anni fa per ottenere un rendimento vicino al 5% avremmo dovuto correre rischi elevati tra azioni, obbligazioni di bassa qualità e mercati emergenti: adesso è invece possibile investendo i risparmi in un solo titolo, peraltro garantito dallo Stato italiano. Quindi? Vissero tutti felici e contenti grazie al “principe azzurro” BTP? Le cose non stanno proprio così, vediamo perché.
Da inizio anno la Borsa italiana ha segnato un +18%
Innanzitutto, frazionare l’investimento in più strumenti permette di ridurre il rischio complessivo, perché si può contare su diverse fonti di rendimento. Magari oggi è il BTP ad offrire un buon rendimento ma domani potrebbero tornare a far molto bene le azioni, oppure le materie prime o, ancora, l’oro piuttosto che i titoli obbligazionari in valuta estera. A proposito, forse in tanti non se ne sono accorti, ma da inizio anno la Borsa Italiana è in rialzo del 18% e quella americana del 13%, mentre i titoli di stato italiani hanno fatto guadagnare in media solo l’1,6% (indice JPMorgan Italia). Ciò conferma che non si può fare a meno di avere in portafoglio anche azioni e altri investimenti oltre ai BTP.
Rischio di perdita in conto capitale
Ma c’è anche un’altra questione da tenere in considerazione. I BTP non sono immuni all’andamento dei mercati. Una notizia che per qualche “BTP people” può essere sconvolgente, ma riflette la realtà. Gli scenari economici cambiano di continuo e, come abbiamo visto, i tassi sono in movimento. Tassi e rendimenti in rialzo significano, per le obbligazioni in circolazione, valore più basso. Il che significa, per chi ha comprato un BTP, il rischio di incassare meno rispetto al prezzo originario se, per svariati motivi, abbiamo bisogno di recuperare la liquidità prima della scadenza dell’obbligazione. Un po’ quello che è successo, con le dovute proporzioni, alla Silicon Valley Bank lo scorso marzo, quando l’aumento dei tassi Fed ha mandato all’aria i conti della banca, che era piena di titoli governativi americani a lunga scadenza che nel frattempo avevano perso parte del loro valore.
L’all-in non è mai una buona scelta
Il rischio appena descritto si chiama perdita in conto capitale: una situazione che, nel nostro piccolo, non vorremmo mai dover affrontare. Come evitarla? Se proprio vogliamo rimanere con il ragionamento sulle obbligazioni, è bene sapere che esistono soluzioni pensate per una gestione professionale di interi panieri di bond. “Giardinetti” diversificati in obbligazioni, anche in valute estere, con scadenze differenziate e con un variegato profilo di affidabilità degli emittenti (rating). Strumenti quindi molto liquidi, che pur investendo solo in obbligazioni tengono conto dei principi fondamentali della finanza, sono gestiti da team di specialisti che si muovono in un’ottica globale, monitorando tutto il mercato il mercato obbligazionario e le sue evoluzioni.
Pianificazione finanziaria vs improvvisazione
Oggi, per esempio, tra gli economisti e gli strategist c’è chi dice che i tassi di interesse saranno più alti (rispetto a prima) e più a lungo e chi invece è convinto che il picco dei rialzi sia stato toccato, o sia comunque vicino, e prevede una discesa dei tassi. Come sempre non è dato conoscere il futuro, in finanza non esistono questo tipo di certezze, ma sicuramente esiste il buon senso: se la diversificazione è imprescindibile nella costruzione di un portafoglio finanziario, la centralità della componente azionaria è un “must”. Al di là degli alti e bassi fisiologici del mercato, pensare di rinunciare al valore dell’azionario è irrazionale, come dimostra il +18% da inizio anno di cui abbiamo parlato poco fa.
Se pure è comprensibile, quindi, una sorta di corsa ai ripari di fronte alle fiammate di un’inflazione che quasi non ci ricordavamo più esistere, questa rimane una mera soluzione tampone, con tutte le sue inefficienze.
La strategia corretta è la pianificazione finanziaria, strutturata per raggiungere specifici obiettivi collocati su orizzonti temporali definiti, cogliendo tutte le opportunità offerte dai mercati.
Un buon consulente finanziario negli ultimi 5/10 anni è quello che ti ha spiegato la situazione sul mondo obbligazionario invitandoti ad una maggiore consapevolezza ed evitandoti la più grande distruzione di capitali per i profili a minor rischio/età maggiore.
Siamo al giro di boa del 2023
Il 2023 è iniziato su note veramente molto sfidanti, e qualcuno già dava per scontate un po’ di recessioni per colpa dei falchi delle banche centrali. Ora che siamo arrivati alla metà dell’anno, ci sentiamo di dire che le cose non sono poi andate così male. Anzi. I dati diffusi finora hanno evidenziato un’economia che – a fronte del più rapido innalzamento dei tassi di interesse di tempi di Volcker, degli scenari geopolitici in continua evoluzione e di un’inflazione che sale ancora a tassi abbastanza corposi – ha discretamente tenuto, sia al di qua che al di là dell’Atlantico.
A fine giugno, una raffica di dati ha mostrato una sorprendente forza in diversi settori dell’economia statunitense: gli acquisti di nuove case sono saliti al tasso annuale più incisivo in oltre un anno, gli ordini di beni durevoli hanno superato le stime e la fiducia dei consumatori ha raggiunto il livello più alto dall’inizio del 2022. Tutto questo certamente non esclude la possibilità di una recessione l’anno prossimo, ma dà motivo di ritenere che una flessione non sia dietro l’angolo. Per dirla con le parole del segretario al Tesoro Janet Yellen, "le probabilità di una recessione sono diminuite".
Il tech fa da locomotiva
Le trimestrali diffuse nel corso della primavera hanno tutte sorpreso in positivo. La rinnovata attenzione intorno all’Intelligenza Artificiale ha determinato un rialzo importante dei titoli tech, che hanno trascinato i relativi settori e, di riflesso, i listini azionari.
Un po’ questo, un po’ il fatto che le cose non sono andate così male come si era temuto, questa prima metà dell’anno si è rivelata alla fine molto buona per i mercati azionari, con le azioni globali, misurate dall’MSCI World, che hanno registrato un incremento del 12,2% da inizio anno al 27 giugno.
E così, chi all’inizio dell’anno si è tenuto lontano dagli investimenti, scoraggiato magari dalle molte previsioni fosche dei grandi analisti (rimaste in larga parte sulla carta, per ora), ha perso un’interessante occasione per entrare sui mercati. C’è una buona notizia: può imparare la lezione e farne tesoro per i prossimi sei mesi. Ma prima, proseguiamo con il nostro recap dei temi e degli eventi dei primi sei mesi del 2023.
L'inflazione ha perso i superpoteri?
L’inflazione ci accompagna da quasi due anni – i rialzi dei prezzi hanno preso il via nell’autunno del 2021 con le riaperture post Covid e ha poi ricevuto una robusta spinta dal complicato scenario geopolitico che si è aperto nel cuore dell’Europa nel febbraio del 2022 – e, poco ma sicuro, ci accompagnerà ancora per tutto quest’anno almeno. Ma attenzione: le percentuali che misurano l’ammontare della variazione periodica hanno già iniziato la loro discesa.
Una discesa certamente non rapidissima e che al momento riguarda soprattutto il dato complessivo, mentre il dato core appare più resistente. Ma ci sta, ci vuol tempo per far scendere i prezzi. E non dobbiamo comunque dimenticare che nel giro di un semestre siamo riusciti a passare da una variazione annua a doppia cifra a un’inflazione più gestibile. Un trend di discesa molto evidente negli Stati Uniti d’America.
Prezzi in calo anche in Europa, con il Vecchio Continente che, complice il freddo molto mite, è riuscito a schivare la temuta crisi energetica, spauracchio dell’autunno e dell’inverno passati che per fortuna non si è tramutato in realtà.
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Cos'hanno fatto e cosa faranno le banche centrali?
Il paziente sta meglio, ma non è del tutto fuori pericolo: per questo i fari continuano a essere puntati sulle banche centrali. Cosa faranno? Finora, la Fed ha portato i tassi al 5-5,25% e lì si è fermata, prendendosi una "pausa da falco" al meeting di metà giugno. L’ultimo aggiornamento di Powell ha lasciato presagire altri due rialzi – forse anche consecutivi- da 25 punti base entro la conclusione del 2023.
La BCE, da parte sua, ha operato un rialzo da un quarto di punto percentuale a metà giugno e mette già in conto un altro aumento di pari entità nella riunione di luglio. Sempre a giugno la Bank of England ha calato l’asso dei 50 punti base in più, dal 4,50% al 5%, per far fronte a un’inflazione che anche nel Regno Unito non è più a doppia cifra, ma che comunque continua a segnalare rialzi consistenti.
Altrove (vedi Cina e Giappone) le banche centrali hanno optato per una linea ancora molto accomodante. Sembrerebbe acuirsi quindi la divergenza con le economie avanzate del mondo occidentale, senonché molti si aspettano che anche qui il picco dei rialzi sia vicino. Quel che rimane da fare, ora, è aspettare di vedere l’effetto che le condizioni creditizie più restrittive avranno sull’economia reale.
Grande interesse sul btp ma è l'azionario italiano la vera stella
Contrariamente ai pronostici e alle mille cautele di inizio anno, l’azionario si è difeso più che bene: rispetto ai valori dei primi di gennaio, l’S&P 500, che è l’indice di riferimento dell’equity globale, ha riportato un +12,7%. Ma a distinguersi nel semestre sono stati soprattutto il Nasdaq 100, l’indice tecnologico della Borsa USA, trainato dall’Intelligenza Artificiale e dalle attese sulla domanda di semiconduttori e chip, e il Nikkei 225 giapponese, che ha raggiunto il livello più alto dal 1990, riflesso di un’economia che cresce anche sulla spinta degli investimenti dall’estero.
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Come si vede, anche il nostro FTSE MIB ha dato buona prova di sé in questa prima metà dell’anno, nel contesto di un’economia che le principali istituzioni nazionali e internazionali (non solo l’Istat e la Banca d’Italia, ma anche l’OCSE e il Fondo Monetario Internazionale) prevedono in crescita quest’anno e il prossimo. Il nostro FTSE MIB è tra le Borse più redditizie del primo semestre del 2023 insieme al Nasdaq americano. Entrambe hanno registrato infatti performance a due cifre nell’arco di questi sei mesi, con un rialzo di oltre il 14% per il listino milanese che è riuscito a superare Parigi e Francoforte.
Primo semestre 2023: quale insegnamento fare nostro?
Quando il gioco si fa duro, i duri cominceranno pure a giocare, ma la maggioranza di noi si fa prendere dall’esitazione e si mette alla ricerca di un rifugio per i propri soldi. Ci sta. Questo rifugio, nel primo semestre del 2023, in Italia è stato rappresentato molto bene dal BTP nelle sue varie versioni indicizzate all’inflazione, che hanno avuto un ottimo riscontro in termini di domanda.
I dati che vediamo oggi, al termine di un primo semestre che non è stato disastroso come si temeva, ci dicono però che in ogni fase di mercato conviene restare fedeli alla regola di sempre: diversificare, diversificare, diversificare. Attenzione a comprare solo titoli di Stato e obbligazioni sull’onda dell’entusiasmo e dell’hype del momento: serve dare spazio in portafoglio anche all’azionario, che, come abbiamo visto, può regalare rendimenti superiori.
Il trucco è sempre lo stesso: non fissarsi sulle oscillazioni quotidiane e sulle previsioni ma allungare lo sguardo al medio-lungo termine.
Tech, dati ed NVIDIA
Semisconosciuta a chi? Parliamo di Nvidia, azienda statunitense leader da circa trent’anni nel settore delle schede grafiche, definita nel titolo di un articolo del Corriere della Sera come "azienda semisconosciuta" che ora grazie all’AI "vale mille miliardi". Ne parliamo perché in realtà non era un’azienda così "di nicchia". Negli ultimi decenni, bastava recarsi in uno store a comprare un pc per imbattersi nel nome Nvidia, che infatti possedeva quasi il monopolio delle schede grafiche che li fanno funzionare (con tanto di adesivo grande ben stampato sulla tastiera).
Sì, perché l’azienda in questione è sempre stata leader di mercato nella produzione di schede grafiche, ma forse non era abbastanza per diventare famosa. Ed ecco che però nell’ultimo periodo è passata alla ribalta per investimenti che forse creano più "hype", come quello nell’Intelligenza Artificiale. Questo ci fa capire almeno due cose importanti: attualmente sono le aziende tech che investono nell’Intelligenza Artificiale ad avere i risultati migliori; tutto questo sta nuovamente facendo brillare il settore tech sui mercati azionari.
I dati infatti fotografano un azionario trainato di nuovo dai titoli tecnologici. Il Nasdaq 100 ha battuto il più ampio S&P 500 grazie al ritrovato interesse nell’Artificial Intelligence che ha contribuito ad accendere i fari su nuovi colossi, che, in verità, erano non così sconosciuti agli addetti del settore finanziario.
Effetto Nvidia sul Nasdaq100
Nvidia ha per anni prodotto chip informatici in grado di far girare videogiochi ad alta grafica. Ma diversi anni fa, i ricercatori dell’Intelligenza Artificiale hanno iniziato a utilizzare gli stessi chip per far lavorare i potenti nuovi algoritmi che stavano causando importanti avanzamenti nel campo (vedi Chat GPT). Il boom attuale è avvenuto perché i suoi chip GPU sono particolarmente adatti per elaborare enormi quantità di dati necessari per addestrare programmi di Intelligenza Artificiale all’avanguardia come il PaLM 2 di Google o il GPT4 di OpenAI.
E così Nvidia ha continuato a sviluppare costantemente il suo settore dedicato all’AI negli ultimi anni, e l’ultima esplosione di interesse e investimenti nel settore negli ultimi sei mesi ha potenziato le sue vendite in modo significativo.
Di conseguenza, nel primo trimestre conclusosi il 30 aprile 2023 ha annunciato un fatturato di 7,19 miliardi di dollari, in calo del 13% rispetto a un anno fa ma in crescita del 19% rispetto al trimestre precedente. Soprattutto, una trimestrale accompagnata da previsioni molto buone sulla domanda di chip, proprio per effetto dell’AI. Così buone da spingere la capitalizzazione della multinazionale, inclusa nel Nasdaq 100, verso il traguardo dei 1.000 miliardi. Con il suo +170% da inizio anno, Nvidia è ad oggi la migliore del listino.
Prima ancora di guardare direttamente all’AI, quindi, bisognerebbe concentrarsi sul ruolo dei chip. E con essi i semiconduttori e le aziende che se ne occupano. Della serie, non fermiamoci a guardare il dito, ma puntiamo alla luna. Può sembrare una frase fatta, ma in realtà è un dato di fatto: i semiconduttori (e i chip) sono alla base del funzionamento degli strumenti di AI e sono praticamente il nuovo petrolio.
Semiconduttori. Materiali intermedi tra i conduttori e gli isolanti, vengono utilizzati per la produzione dei chip che equipaggiano smartphone, personal computer, tablet, console di gaming e via dicendo. Chip. Noti anche come circuiti integrati, sono fondamentali per tutte quelle tecnologie che guidano la trasformazione digitale, inclusa l’Intelligenza Artificiale.
Non solo investimenti, c'è anche la geopolitica
Chi c’è nella "OPEC dei semiconduttori"? Taiwan, Cina e Stati Uniti sono i tre Paesi che, come sottolinea l’ISPI in un suo approfondimento, oggi si spartiscono i vari primati: Taiwan nella produzione di semiconduttori, la Cina nella produzione e nell’esportazione di terre rare (essenziali anch’esse per la realizzazione dei vari device della transizione digitale) e gli Stati Uniti nello sviluppo dei software.
Più che alleati, però, qui parliamo di rivali: Stati Uniti e Cina sono infatti le stesse due nazioni che si contendono Taiwan. E non è un caso: Taiwan, letteralmente, svetta in un settore sempre più decisivo.

Previsti investimenti ingenti anche in Europa
Anche l’Europa si attrezza. L’anno scorso gli Stati Uniti hanno adottato il Chips and Science Act, che prevede 39 miliardi di dollari di incentivi per la produzione e 13,2 miliardi di dollari per la ricerca e lo sviluppo. E in continuità con il suo predecessore Trump, il presidente Biden ha proposto Chip 4, un’alleanza con Taiwan, Giappone e Corea del Sud. L’Unione Europea, dal canto suo, non è rimasta a guardare: ha varato infatti il Chips Act, una manovra da 43 miliardi di euro. L’obiettivo è raddoppiare dal 10% al 20% la quota europea nella produzione di semiconduttori a livello mondiale.
Non finisce qui. La Commissione Europea ha anche approvato un pacchetto da 8,1 miliardi di euro destinato agli aiuti di Stato per la produzione di semiconduttori nel Vecchio Continente. Saranno 56 le aziende di diverse dimensioni che vi attingeranno allo scopo di realizzare 68 progetti in 14 Stati membri. Tra questi c’è anche l’Italia, che parteciperà con StMicroelectronics, Memc, Menarini Silicon Biosystems e Siae Microelettronica.
La Commissione UE spera in una sorta di "effetto leva", e cioè che il denaro pubblico porti 13,7 miliardi di euro di investimenti privati, mobilitando così un totale di quasi 22 miliardi di euro da qui al 2032, data nella quale i progetti dovrebbero raggiungere la fase finale. I primi prodotti potrebbero essere disponibili sul mercato già nel 2025.
Semiconduttori, chip e portafogli
Come tutti i grandi topic del momento – ti abbiamo parlato di recente dell’Intelligenza Artificiale e dei veicoli elettrici – anche i semiconduttori costituiscono un tema di investimento. Per il tramite magari di un fondo ben diversificato che segua l’esempio di uno dei grandi indici di settore e investa in un paniere di titoli riconducibili al comparto. E’ sempre bene ricordare, infatti, che la diversificazione è fondamentale: mai mettere tutte le uova in un unico paniere. A maggior ragione, poi, se si parla di innovazione non è semplice comprendere in anticipo chi rivoluzionerà il futuro con un nuovo prodotto o servizio.
Tetto al debito USA: spavento sventato per i mercati
Non è l’inflazione e neanche il rialzo dei tassi d’interesse il tema su cui vogliamo soffermarci oggi. Strano vero? Sì, perché nelle ultime settimane a tenere banco sui mercati è stato il debito statunitense. Un debito che in vista della scadenza di giugno aveva raggiunto il suo limite prestabilito e che doveva essere rinegoziato. Missione non facile, in un clima politico totalmente diviso fra Congresso e Casa Bianca. Solitamente la rinegoziazione del tetto sul debito è una pratica di routine, ma quando sei un presidente Dem e hai un Congresso diviso con una Camera a maggioranza Repubblicana, le cose non sono proprio così "easy".
Tanto che fino a una manciata di giorni fa il default del governo statunitense sul debito è parso una possibilità concreta. Il Congresso USA non riusciva a decidere su quanto il governo americano potesse prendere in prestito e la mancanza di progressi aveva cominciato a preoccupare gli investitori a ridosso della temuta scadenza di giugno.
Ma tutto è bene quel che finisce bene: dopo settimane di discussioni, l’accordo è stato trovato. Gli Stati Uniti alzeranno il tetto del debito di 31,4 trilioni di dollari, evitando in extremis la minaccia di default e consentendo a Washington di onorare i suoi pagamenti fino all'inizio del 2025.
Perchè si è parlato addirittura di default negli states?
Come abbiamo visto, il "tetto del debito" non è altro che un limite massimo alla quantità di denaro che il governo americano può prendere in prestito per pagare i suoi debiti. Quando questa quantità si avvicina al limite prestabilito, il tetto deve essere rivisto al rialzo attraverso un accordo tra Congresso e Casa Bianca.
Cosa sarebbe successo se non si fosse raggiunto un agreement? Potevamo trovarci davanti a un default sul debito degli Stati Uniti. In poche parole, gli USA non avrebbero potuto pagare gli stipendi federali, le pensioni militari e tutti i creditori, ossia le persone che detengono i suoi titoli di debito.
I titoli del governo degli Stati Uniti sono considerati tra gli investimenti più sicuri al mondo, cosicché lo spauracchio del default ha riacceso non poche perplessità sul ruolo dei titoli di debito nei nostri portafogli. Un ruolo imprescindibile ma che, alla luce di quest’ultimo fatto e dell’andamento degli ultimi anni, forse va riportato alle giuste dimensioni.
Il ruolo di obbligazioni e titoli di stato: parliamone
Il 2022 è stato un anno straordinario per il mercato obbligazionario, ma non in senso positivo. L’indice Bloomberg U.S. Aggregate Bond - una proxy dell’ampio mercato obbligazionario statunitense - ha registrato una perdita del 13% nel 2022, che di per sé non sarebbe così rilevante. Ma visto che molti investitori detengono obbligazioni in quanto asset che dovrebbe rappresentare uno scudo nel momento in cui le azioni scendono, ecco, non è stato questo il caso.
Per la prima volta dal 1969, nel 2022 azionario e obbligazionario hanno subito perdite a due cifre nello stesso anno, come ci dimostra il confronto tra le perdite sofferte dagli investitori in fondi a rischio più contenuto – quindi più esposti all’obbligazionario – e quelle registrate da chi invece ha investito in fondi associati a un grado di rischio più elevato. Il grafico che segue ci fa vedere come, nell’ampio mercato dei fondi multi-asset, il settore a più basso rischio abbia subito perdite di circa il -10% su 12 mesi, un dato in linea con quello del settore a rischio più alto.
Perché le obbligazioni hanno fatto così male nel 2022? I prezzi delle obbligazioni e i tassi di interesse si muovono in direzioni opposte. E tutti sappiamo quello che stanno facendo le banche centrali in questi due anni: la Federal Reserve ha aumentato i tassi come mai aveva fatto negli ultimi 40 anni. Questo ha causato perdite massicce all’interno delle obbligazioni. Un asset generalmente sicuro, ma non necessariamente. Gli investimenti in obbligazioni sono influenzati infatti dai tassi d'interesse, dall’inflazione e dal rating del credito. E se anche per gli USA si è parlato del rischio di default, possiamo immaginare per gli altri Paesi con rating decisamente inferiori. Questo però non significa che non dobbiamo inserirle nei nostri portafogli: significa scegliere con cura e non dare per scontato che parliamo di asset sicuri al 100%.
Nessun asset è risk free
Molti di noi sono cresciuti nell’era della bassa inflazione, il che ha significato sostanzialmente che la correlazione media tra azioni e obbligazioni è stata per lo più negativa. Negli ultimi 20 anni, le obbligazioni hanno quindi rappresentato un efficace diversificatore per le azioni. La situazione però è cambiata lo scorso anno, quando l’inflazione globale ha superato il 10% e l’incertezza sul suo abbattimento è aumentata. Sono così tornate le correlazioni positive degli anni Settanta e le obbligazioni hanno perso il loro valore di diversificatore rispetto alle azioni. Un ruolo, quest’ultimo, che hanno da poco iniziato a riscoprire, in virtù del ritorno sulla scena della correlazione negativa tra azionario e bond.
Le azioni, dal canto loro, rappresentano ancora un’ottima copertura a lungo termine contro l’inflazione grazie al premio al rischio storicamente superiore al tasso d’inflazione. Per gran parte dell’ultimo decennio le azioni hanno superato in scioltezza le obbligazioni, che registravano tassi vicini allo 0% e pochi rendimenti aggiuntivi, i quali si potevano trovare unicamente nei settori più rischiosi del reddito fisso. Questo periodo è stato definito "TINA", ovvero "There Is No Alternative" (non c’è alternativa) al possesso di azioni quando i tassi sono bassi e il rendimento è scarso.
Sebbene oggi, con il ritorno di una più convincente remunerazione nel reddito fisso a breve scadenza e non solo, esistano alcune alternative concrete rispetto agli standard storici, il premio al rischio azionario odierno rimane piuttosto ragionevole anche rispetto alle obbligazioni indicizzate all’inflazione.
Morale della favola? Serve un bel bilanciamento tra bond, equity e altri strumenti scudo. Ecco perché la soluzione è sempre diversificare e basare la costruzione del proprio portafoglio su fondi ben diversificati e costruiti tramite analisi di mercato professionali.
Cosa è successo ad Aprile sui mercati?
Il mese appena concluso si è caratterizzato per una riduzione dell’inflazione, ma anche per una continua fase di stabilizzazione dei mercati che ancora attendono dei segnali forti confortanti per riprendere la corsa.
Il settore bancario resta ancora il protagonista anche nel mese di aprile. In America la crisi della First Republic, che si aggiunge a quelle della Silicon Valley Bank e della Signature Bank, ha avuto riflessi sui mercati azionari: è stato così anche in Italia, dove i titoli bancari pesano molto sul paniere principale.
Forti i riflettori sulle decisioni delle banche centrali, mentre l’inflazione, che a marzo aveva segnato una robusta frenata in Europa, ad aprile ha cominciato a rialzare la testa. Anche se c’è un aspetto positivo: l’inflazione core, ossia al netto di beni energetici e alimentari, è rimasta stazionaria nel mese.
I principali fatti del mese
- A seguito di un periodo di calma, negli Stati Uniti è riesplosa la bufera sul settore bancario. Dopo i casi Silicon Valley Bank e Signature Bank, infatti, nella parte finale del mese si è riacutizzata la crisi di First Republic, dopo che l’istituto ha annunciato di aver perso 100 miliardi di dollari di depositi nell’ultimo trimestre. La Federal Deposit Insurance Corporation, quindi, ha deciso di intervenire dopo aver cercato, invano, di trovare una soluzione tra privati. L’agenzia federale ha quindi posto in amministrazione controllata l’istituto e aggiudicato l’asta a Jp Morgan Chase, la più grande banca degli Stati Uniti. La vera domanda che si pongono i mercati, ora, è se quello di First Republic sarà l’ultimo salvataggio oppure se ne saranno necessari altri.
- In Europa, nonostante le perdite in Borsa dei titoli bancari, sono arrivati segnali incoraggianti. Deutsche Bank, per esempio, ha chiuso il trimestre con conti molto robusti. Era un test molto importante, poiché la banca tedesca era stata bersagliata dalle vendite e considerata dal sistema bancario mondiale il prossimo anello debole dopo Credit Suisse.
- Lato macro, negli Stati Uniti la crescita trimestrale è frenata al +1,1%, rallentando più delle previsioni degli analisti, che ora temono una recessione in avvicinamento. In Europa, i dati sul Pil sono stati nel complesso buoni: se da una parte un Paese importante come la Germania ha avuto una flessione dello 0,1%, l’Italia e la Spagna hanno registrato un +0,5% nel trimestre e pure la Francia ha riportato un dato positivo (+0,2%).
- Inflazione in chiaroscuro: nell’Eurozona è tornata a salire al 7% (dal 6,9%). In Italia, il dato aggregato ha fatto segnare un +8,3%, ma la buona notizia è che l’inflazione core è rimasta stabile al +6,3%, senza salire ulteriormente. E in Usa? Meglio: le strette della Fed cominciano a funzionare, con il dato complessivo sceso al 5%, oltre le aspettative al 5,6%.
- In Usa sono arrivati i conti trimestrali delle grandi banche (tutti molto positivi). Bene anche i conti di Meta e di Amazon, nonostante quest’ultima abbia registrato una frenata sul cloud.
- Nel resto del mondo, la crescita cinese va forte e traina i titoli del lusso. Basti pensare che Lvmh è diventata la prima azienda europea a sforare il mezzo miliardo di capitalizzazione di mercato.
Conclusioni
Il mese che si apre offre ancora spunti sui conti trimestrali in Italia: Intesa Sanpaolo li pubblicherà il 5 maggio, UniCredit il 3 maggio. Buoni risultati rafforzerebbero ancora di più la visione di un sistema bancario solido.
Resta ancora l’inflazione il driver del prossimo futuro anche per comprendere la strada che dovranno ancora percorrere le banche centrali.
A distanza ormai di più di 15 mesi, per gli investitori di lungo periodo questo non può che essere un momento adatto per rivisitare la propria pianificazione cercando di comprendere possibili miglioramenti e occasioni per aumentare i rendimenti medi dei propri portafogli.
Per l’investitore prudente e con orizzonti temporale breve/medio se ha preso le giuste decisioni negli anni passati sembra sempre più vicino il ritorno ad una “normalità” o meglio confidenza con l’immaginario italiano di “investimenti a basso rischio” con il ritorno prepotente dei rendimenti sugli asset obbligazionari.
Cosa è successo a Marzo sui mercati?
Si chiude un mese all’insegna delle montagne russe. Crisi bancarie partite dagli Stati Uniti e poi approdate in Europa, il crollo di #CreditSuisse poi acquistato da #Ubs sono stati i driver.
Il timore che il contagio si potesse propagare ulteriormente ha inizialmente fatto scendere le Borse, in particolare i titoli bancari e finanziari. A ciò ha fatto però seguito un corposo recupero, in scia alle rassicurazioni delle principali autorità mondiali.
Lato opposto, a dare manforte alla ripresa una serie di buoni dati sull’inflazione, che hanno cominciato a far prezzare ai mercati il possibile raggiungimento del picco sui tassi d’interesse da parte della Federal Reserve e, a breve, della Banca centrale europea.
I principali fatti del mese
- Come si accennava, le protagoniste assolute dell’ultimo mese sono state le banche. Tutto è partito dalla Silicon Valley Bank, la sedicesima banca degli Stati Uniti, che è crollata per aver cercato invano un aumento di capitale dopo aver subito una perdita di 1,8 miliardi di dollari. L’istituto, trovatosi in crisi di liquidità a seguito della stretta monetaria della Fed, si è visto costretto a dismettere una parte del suo portafoglio di bond a lunga scadenza, che a causa della crescita dei tassi avevano perso valore. Il 9 marzo l’istituto californiano ha perso il 62% in Borsa, con conseguente fuga dei depositi che ha reso necessario, il giorno successivo, un intervento delle autorità federali, le quali hanno nominato la Federal Deposit Insurance Corporation come curatore fallimentare. Il contagio si è poi propagato ad altre banche Usa, dalla Signature Bank (poi fallita) alla First Republic Bank, facendo temere per la tenuta delle banche regionali, al centro di una crisi di fiducia.
- In un mondo iperconnesso, non ci è voluto molto affinché un altro grande istituto in salute precaria, la svizzera Credit Suisse, finisse in difficoltà. La Saudi National Bank, primo azionista con il 9,9%, ha dichiarato con il suo presidente che non avrebbe partecipato a un nuovo aumento di capitale, facendo deflagrare la crisi. A tal punto che il 19 marzo, in un salvataggio concertato dalla Banca nazionale svizzera, Ubs è arrivata ad acquisire la banca rivale per 3 miliardi di franchi.
- Ha fatto discutere, nel salvataggio della banca elvetica, la scelta di sovvertire i criteri di assorbimento del capitale. L’aver azzerato prima una particolare categoria di bond, gli AT1, ha spaventato i mercati, innescando una nuova pioggia di vendite. A pagarne le conseguenze è stata un’altra grande banca europea, Deutsche Bank, che è arrivata a perdere in Borsa fino all’11,6%. I timori sono poi rientrati, con le rassicurazioni delle autorità europee sul rispetto delle regole del bail-in (che prevedono prima l’azzeramento degli azionisti, poi quello degli obbligazionisti) e sulla solidità di Deutsche Bank e del sistema nel suo complesso.
- Tra le buone notizie c’è la discesa dell’inflazione, che a marzo è calata sensibilmente in Germania, Spagna e Italia. In particolare, nel nostro Paese, l’inflazione annua è scesa al 7,7%, rispetto al 9,1%, trascinata principalmente dal ribasso dei prodotti energetici.
Conclusioni
Continua la guerra di nervi tra i mercati e gli investitori, quindi sarà fondamentale aver ben salde le proprie convinzioni sul “perché” state investendo.
Da tenere sotto la lente per questo mese i dati sull’inflazione e le prossime mosse di politica monetaria. Gli analisti scommettono ora su un rallentamento dei rialzi, ma per scoprirlo bisognerà attendere le riunioni in programma a maggio, per le quali saranno fondamentali i dati sui prezzi di aprile e i primi risultati sul Pil del 2023.
Lato Cina il conseguente ritocco verso l’alto delle stime economiche potrebbe portare qualche rialzo sui prezzi del petrolio, mentre in Europa il focus sarà sull’inizio della stagione di riempimento degli stoccaggi, che tuttavia non dovrebbe serbare particolari sorprese.
Ultimo, ma non certo per importanza, il conflitto russo-ucraino, in caso di svolte (positive come negative) potrebbero esserci ripercussioni sui corsi azionari. Al momento, si attende una possibile controffensiva dell’Ucraina a primavera o comunque prima dell’estate.
Nonostante i fatti di quest’ultimo mese, che ci sono ed è normale ci siano come sempre, i mercati continuano la marcia verso la ricerca di un equilibrio macinando performance positive da inizio anno.