PROGETTO RISPARMIO: far studiare mio figlio

Uno degli obiettivi di ogni famiglia è cercare di dare le migliori prospettive di vita alla progenie. Ma quanto costa far studiare i propri figli?
Le famiglie italiane ogni anno pagano 9 miliardi e 101 milioni per far studiare i figli. Un fiume di denaro, anzi, un oceano di soldi che ha pochi eguali in Europa. Quindi se avete un figlio considerate che: un miliardo e 158 milioni di euro (833,2 euro a bambino) vanno per la scuola materna, che in Italia molto spesso è privata; un altro miliardo e 676,9 milioni (378 euro ad alunno) vengono spesi per i cicli delle elementari e delle medie, mentre 688,7 milioni (237,9 euro a studente) se ne vanno per far frequentare le scuole superiori. Ma questo è ancora niente. Già, perché gli esborsi più importanti arrivano quando i ragazzi vanno all’Università.

 

Gli studi universitari, infatti, succhiano da soli il 61,3% di tutta la spesa privata delle famiglie italiane in istruzione: 5 miliardi e 579 milioni di euro. Praticamente avere un figlio all’Università costa 2.717 euro a studente, al netto di borse di studio e sussidi. Se escludiamo il Regno Unito, in cui l’istruzione terziaria segue un modello più simile a quello americano, solo in Spagna e Irlanda le famiglie pagano di più.

Si dirà: il dato è dovuto alle costose università private che alzano la media. Non proprio, perché sul totale delle università italiane quelle private accolgono ben pochi studenti, anche se è vero che per frequentare l’Università Bocconi si può spendere fino a 16.103, la Luiss 15mila euro, lo IULM 9.956 euro all’anno.

I costi naturalmente lievitano se i figli decidono di frequentare gli ormai indispensabili master post-laurea. Per Almalaurea e Sole24Ore in Italia si può scegliere tra ben 68 alternative e alcuni di questi arrivano a costare anche più di 20mila euro. L’MBA (Master in Business Administration) dell’Università Bocconi, quello del Politecnico di Milano e quello della Luiss di Roma sfondano tranquillamente quota 35mila euro. Più economici (si fa per dire) sono i master dello Ied (Istituto Europeo di Design) sul mondo del fashion, del design, della comunicazione, per i quali si deve sborsare 20.100 euro.

 

Tasse alte, costi alti, numero di laureati basso

In Italia, comunque, solo il 18,2% degli studenti frequenta atenei privati, mentre in Europa la percentuale è del 19,6%, e ancora meno seguono master costosi. La ragione principale dell’alta spesa delle famiglie è che da noi le tasse universitarie sono più alte che in altri Paesi. Mediamente, secondo Eurydice (una rete europea di informazione sull’educazione), le tasse universitarie ammontano a 1.592 euro, molto di più che, per esempio, in Germania e Francia, dove per moltissimi studenti lo studio universitario è (quasi) gratuito. A versare di più in tasse universitarie sono solo gli studenti olandesi, lettoni e lituani.Alle tasse si aggiungono le spese del mantenimento di chi è fuori sede. Secondo il Sole24Ore i ragazzi che studiano in una città diversa da quella di residenza sono più di 800mila (anno accademico 2021-22) e costano almeno 10mila all’anno alle famiglie, con ovvie differenze in base alla città in cui ha sede l’ateneo. Secondo i calcoli dell’Udu (Unione Degli Universitari), che a vitto e alloggio aggiungono anche eventuali attività culturali, i costi dei trasporti per il ritorno periodico a casa o quelli del medico di base per i non residenti, si arriva anche a 17mila euro.Tutto questo ha giganteschi effetti sulla pianificazione finanziaria delle famiglie, che vedremo più avanti, ma ha anche effetti paradossali sulla società italiana. Da noi, infatti, nonostante gli studi siano costosissimi, in pochi arrivano alla laurea: solo il 29,2% di chi ha tra i 25 e i 34 anni ha un titolo universitario, peggio di noi fa solo la Romania con il suo 24,7%, mentre la media Ue è del 42%.

 

Gli investimenti pubblici in istruzione non bastano

Il fatto è che nel corso degli anni la crescita della spesa delle famiglie è stata veramente enorme: tra 2012 e 2020 i costi per studente sono aumentati del 30,7%. Ed è ovvio che sia così se si guarda a quello che spende lo Stato: tra il 2013 e il 2020 l’incremento della spesa per studente è stata solo del 3,5%, appena in linea con il carovita e, quindi, di fatto la crescita è stata zero. A differenza di quella privata, la spesa pubblica è decisamente inferiore alla media europea, 7.137,8 euro per iscritto contro 10.017,3. È vero, i bilanci dei vari Paesi sono differenti, ma anche mettendo in relazione i dati con il prodotto interno lordo le differenze rimangono: lo Stato italiano per l’istruzione universitaria spende lo 0,88% del Pil contro l’1,27% medio nella Ue. Se il discorso si allarga a tutta l’istruzione, a partire dalla scuola materna, l’impegno del settore pubblico corrisponde al 4,44% del prodotto interno lordo, una percentuale (ancora) inferiore alla media dell’Unione Europea, che è del 5,02%. Ed è chiaro che se i soldi non ce li mette lo Stato, ce li deve mettere la famiglia.

 

Un laureato guadagna di più

Torniamo agli studi universitari. Non sono inclusi nell’obbligo scolastico, si tratta perciò di una scelta che le famiglie e gli studenti fanno autonomamente, ed è a tutti gli effetti un investimento per il futuro che prevede che a fronte di costi non indifferenti vi sia un ritorno in termini di maggiori salari. Ora: se moltiplichiamo i 2.717 euro annui versati dai privati per l’istruzione universitaria di un figlio per cinque (il numero di anni di un percorso completo) abbiamo un esborso complessivo di 13.585 euro.Ne vale la pena? La risposta è sì. I dati dell’Ocse dicono che in Italia il 43% dei lavoratori laureati guadagna uno stipendio superiore di almeno il 50% alla mediana e che solo il 24% dei diplomati può ambire ad avere un salario superiore alla mediana.
Detto in termini ancora più concreti: un laureato tra i 25 e i 34 anni, quindi appena dopo il termine degli studi, ha uno stipendio del 17,2% maggiore di quello di chi non è andato oltre il diploma. L’investimento effettuato dalle famiglie negli studi universitari dei figli viene così ripagato in un numero relativamente breve di anni. Certo, altrove il vantaggio della laurea è ancora maggiore, in Germania il guadagno di chi ha un titolo universitario è del 37,8% più alto di quello di chi ha frequentato solo le scuole superiori, nel Regno Unito del 27%, in Francia del 20,9%, nella Ue mediamente del 23,4%.

 

L’occupazione post laurea

Dai dati di Almalaurea del 2023 sappiamo quali sono i corsi di laurea che offrono le migliori possibilità lavorative. Al primo posto, Ingegneria industriale e dell’informazione: a cinque anni dal conseguimento del titolo sono occupati il 95,6% dei laureati in questa disciplina. Segue Informatica e tecnologie ICT con il 94,6% e poi Architettura e ingegneria civile con il 92,5%, mentre tra i laureati in Economia risultano occupati il 91,2%, poco più che nel ramo medico-sanitario e farmaceutico con il suo 90,9%.

Dati alla mano, insomma, l’investimento che una famiglia si trova ad affrontare non è affatto trascurabile e deve essere programmato con cura e per tempo.