Dieci anni di Evidence-Based Investing spiegati senza slogan
Oggi chiunque parli di investimenti cita l’EBI – Evidence-Based Investing.
Ma la maggior parte delle volte lo fa come si userebbe un’etichetta di marketing: per dare autorevolezza a una strategia che, nella pratica, spesso non ha nulla di “evidence-based”.
Nel tempo, l’EBI è diventato una parola di moda.
E come accade per tutte le mode, ha perso significato.
Io, invece, di EBI parlo da oltre dieci anni.
Quando non era popolare, quando non c’erano hashtag, quando la parola “ETF” non generava like.
Per me l’EBI non è mai stato un tema da cavalcare: è stato — ed è tuttora — un metodo di lavoro, una filosofia e un impegno verso la coerenza e l’onestà intellettuale.
Cos’è l’Evidence-Based Investing (e cosa non è)
Partiamo dalle basi: Evidence-Based significa basato sull’evidenza, cioè sui dati, sulle ricerche, sugli studi accademici e sui risultati osservabili, non sulle opinioni o le mode di mercato.
In ambito medico, il concetto nasce come Evidence-Based Medicine: curare in base a ciò che funziona, dimostrato scientificamente, e non a ciò che “si crede” funzioni.
Nella finanza il principio è identico: investire in base a ciò che i dati mostrano funzionare nel tempo.
E l’evidenza, oggi, ci dice alcune cose molto chiare:
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L’asset allocation conta più della selezione dei singoli titoli.
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I costi incidono più delle intuizioni.
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La disciplina e la coerenza battono la brillantezza estemporanea.
Tutto il resto — previsioni, timing, mode tematiche — appartiene al regno delle convinzioni personali, non dell’evidenza.
Quando la “finanza evidence-based” diventa moda
Negli ultimi anni molti consulenti e formatori si sono appropriati dei termini dell’EBI, ma ne hanno estratto solo i frammenti più comodi.
C’è chi lo usa per sostenere che “gli ETF sono meglio dei fondi”, chi per giustificare strategie tematiche di moda, chi per vendere piani “scientifici” costruiti su backtest perfetti… fino al 2010.
Peccato che non esiste nulla di scientifico in un piano che cambia direzione ogni volta che cambia il vento.
La scienza dell’investimento non vive di mode, ma di coerenza, rigore e continuità.
I portafogli perfetti… nel passato
Oggi chiunque, con un foglio Excel, può creare un portafoglio che “avrebbe battuto il mercato” negli ultimi 10 anni.
E sono sempre portafogli impeccabili… a posteriori.
Ma il passato non paga le pensioni.
È facile essere un genio con i dati del passato: basta spostare i pesi, rimuovere gli anni negativi e aggiungere un tema accattivante — magari l’intelligenza artificiale o il nucleare.
Il difficile è costruire un portafoglio che sopravviva al futuro, alle fasi di volatilità, ai cambiamenti dei tassi, ai cicli economici, e soprattutto, alle emozioni dell’investitore.
L’EBI come filosofia di coerenza
L’Evidence-Based Investing, applicato davvero, significa:
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selezionare strumenti efficienti, indipendentemente dall’etichetta (ETF, fondi o soluzioni gestite);
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costruire un’allocazione coerente con il profilo e l’orizzonte temporale;
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ridurre i costi dove possibile, ma senza confondere l’economicità con l’efficienza;
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mantenere la rotta anche nei momenti di discesa, quando la tentazione di “fare qualcosa” è più forte;
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comunicare in modo trasparente e verificabile.
In sostanza, significa essere coerenti.
E la coerenza non è una moda, è una disciplina.
Dieci anni di Evidence-Based Investing sul campo
Parlare di EBI in modo “scientifico” significa unire tre dimensioni:
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Evidenza accademica: ciò che la ricerca dimostra sul lungo periodo.
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Evidenza di mercato: ciò che i dati reali mostrano ogni anno (SPIVA, Morningstar, Vanguard, etc.).
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Evidenza comportamentale: come reagiscono davvero gli investitori davanti al rischio, al guadagno e alla paura.
Nel mio lavoro quotidiano, l’EBI è questo:
un metodo pratico che tiene insieme finanza quantitativa e psicologia comportamentale, numeri e persone.
Perché un portafoglio può essere perfetto nei grafici, ma inutile nella vita reale se l’investitore non riesce a mantenerlo quando arriva il ribasso.
L’evidenza senza comportamento è solo teoria.
EBI e consulenza: il valore della trasparenza
Nel mondo digitale, dove chiunque può autoproclamarsi “esperto”, la differenza non la fa chi urla più forte, ma chi sa spiegare la complessità in modo onesto e accessibile.
Essere consulenti significa soprattutto filtrare l’informazione e trasformarla in azione coerente.
Chi applica davvero l’EBI non ha bisogno di slogan.
Ha bisogno di dati, metodo e tempo.
Tre cose che non fanno tendenza sui social, ma fanno la differenza nei portafogli reali.
La differenza tra moda e metodo
La moda del momento cambia ogni sei mesi.
Il metodo rimane.
ETF, fondi, titoli, piani assicurativi: ogni strumento può essere giusto o sbagliato a seconda del contesto.
L’importante è che sia inserito in una strategia coerente e sostenibile.
La verità è che non esiste “il portafoglio migliore”.
Esiste solo il portafoglio che puoi mantenere nel tempo, quello costruito su basi razionali, evidenze solide e una guida professionale che ti aiuti a non sabotarti nei momenti peggiori.
Conclusione: l’evidenza non è un trend, è un impegno
Parlare oggi di Evidence-Based Investing è facile: basta usare due grafici e qualche parola inglese.
Applicarlo ogni giorno con rigore, invece, è un’altra storia.
Io ho scelto di farlo dieci anni fa, quando non era ancora “popolare”.
E continuo a farlo oggi, perché credo che la finanza non debba sedurre, ma educare.
Non convincere, ma accompagnare.
Non inseguire la moda, ma costruire il futuro.
📖 EBI non è un concetto. È un impegno verso la trasparenza, la coerenza e la fiducia.
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